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Il Bilderberg riunito: cosa deciderà per noi?
Maurizio Blondet - 06/06/2006 Tratto da "La Padania"
Tucker è un giornalista dell’American Free Press e ha dedicato la
vita a carpire qualche segreto del Bilderberg, il segretissimo consesso
dei potenti euro-americani.
A questo club esclusivo, fondato nel 1954 dai Rockefeller e da Bernardo
d’Olanda per fare affari nell’ambito della NATO (il principe
Bernardo fu coinvolto nello scandalo Lockheed) si accede solo per
inviti.
Gli invitati sono un centinaio o poco più fra i maggiori capitalisti,
banchieri e miliardari vari dell’Occidente, con il loro seguito di
servitori di lusso: ossia politici, analisti strategici, sindacalisti di
riferimento.
Ogni
anno si trovano in un posto diverso, guardato da un muro impenetrabile
di guardie private. Regolarmente, apre il convegno la regina d’Olanda,
Beatrice.
Alla fine, nessun comunicato stampa.
I giornalisti non sono graditi.
Salvo qualcuno, gradito a lorsignori perché tiene la bocca chiusa.
David Rockefeller, membro permanente del Bilderberg, ringraziò questo
tipo speciale di giornalisti muti nel ‘91 con queste parole: «ci
sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se
fossimo stati sotto i riflettori mediatici in tutti questi anni».
Ma grazie agli eletti amici della stampa, aggiunse, «il mondo oggi è
più sofisticato e preparato ad avanzare verso un governo mondiale. La
sovranità sovrannazionale di banchieri mondiali ed un’èlite
intellettuale è preferibile all’autodeterminazione praticata nei
secoli passati».
Questi
rari giornalisti che non scrivono una riga sul convegno, poi, diventano
regolarmente direttori di grandi quotidiani.
Come Martin Wolf, direttore del Financial Times.
O come furono per anni Ugo Stille (Il Corriere della Sera) e Arrigo Levi
(
Belle carriere che vengono dalla qualità più apprezzata da lorsignori:
non dare al pubblico le notizie.
Ma andiamo avanti.
Che
cosa deciderà quest’anno il Bilderberg riunito in Canada?
Vale la pena di chiederselo.
L’anno scorso, riuniti a Rottach-Egern in Germania, i 120 miliardari
auspicarono un sostanzioso aumento del petrolio: misteriosamente, da
allora, il barile è passato da
E ci è andata ancora bene: Henry Kissinger in quella sede raccomandò
un rincaro di 150 dollari.
La cosa non stupisce, perché le petrolifere stanno facendo un sacco di
quattrini dal rincaro, e gli interessi petrolieri sono molto ben
rappresentati al Bilderberg: dai Rockefeller (Exxon) all’olandese
Jeroen van der Veer (Shell) a Franco Bernabè, vicepresidente del gruppo
Rotschild per l’Europa.
Sicchè quest’anno il Bilderberg discuterà come risolvere «il
problema dell’America latina»: specificamente, di quel Chavez ed Evo
Morales che hanno nazionalizzato il petrolio in Venezuela (dove i
Rockefeller hanno parecchi pozzi) e in Bolivia.
Danno
un cattivo esempio, che potrebbe essere seguito da altri capi
sudamericani.
E un cattivissimo esempio da Nestor Kirchner, presidente
dell’Argentina: ha smesso di pagare i debiti al Fondo Monetario, e il
Paese scoppia di salute.
Si discuterà sicuramente anche del problema-Iran e di come «sistemarlo».
Questione non facile: già nel 2003, sull’invasione dell’Iraq, si
produsse una frattura fra i soci europei e quelli americani del
Bilderberg.
Si discuterà molto dell’Europa.
Di
come fare ingollare agli europei la costituzione europea confezionata
dal socio Bilderber Giscard D’Estaing e bocciata dalle opinioni
pubbliche.
Ma è stato il Bilderberg a creare questa Europa dei burocrati, e non
vuole lasciare il lavoro a metà. Come disse nel 2005 Zbigniew
Brzezinsky, ex consigliere della sicurezza nazionale USA e membro
influentissimo del Bilderberg, si tratta di continuare ad assicurare che
«l’Europa occidentale resti in larga misura un protettorato americano».
Disse anche che l’Europa «deve risolvere il problema causato dal suo
sistema di redistribuzione sociale», ossia dai sistemi sanitari a
pensionistici.
Bisogna abolirli, e sostituirli con più «flessibilità» e
privatizzazioni.
Questo vi dice qualcosa?
E’
il programma di governo promosso da un preciso gruppetto di politici nel
mondo e in Italia.
Naturalmente, i grandi giornali - diretti da direttori cooptati come
abbiamo visto - vi diranno che il Bilderberg non decide le sorti del
mondo, che è solo un forum di discussione tra ricchi benintenzionati.
Sarà.
Ma Tucker fa
notare la regolarità magica di certe belle carriere politiche.
Bill Clinton fu invitato alla riunione del Bilderberg che si tenne in
Germania nel 1991.
Nel 1992, ebbe la nomination come candidato presidenziale; qualche mese
dopo, eccolo presidente degli Stati Uniti.
Tony Blair fu invitato al Bilderberg in Grecia nel ‘93.
Nel ‘94, spontaneamente, i laburisti inglesi lo scelgono come capo del
partito; e nel ‘97 diventa primo ministro: primo tipo di socialista
ultraliberista.
Un altro socialista, il francese Lionel Jospin, fu invitato al
Bilderberg nel 1996.
L’anno
seguente diventò capo del governo francese e lo è stato fino al 2002.
Come Michel Rocard, membro assiduo del Bilderberg, e primo ministro dal
1988 al 1991.
O come Paul Wolfowitz, viceministro USA al Pentagono.
Nel 2005 è stato invitato a parlare al Bilderberg, e poche settimane
dopo - miracolo - è diventato capo della Banca Mondiale.
La lista non è completa.
L’amico
giornalista Tucker (un giornalista che dà le notizie, e quindi non fa
carriera) ci fa notare che Romano Prodi fu invitato alla riunione del
Bilderberg in Portogallo nel giugno del 1999: a settembre dello stesso
anno, è diventato presidente della Commissione europea.
Il nostro Prodi non è solo un invitato al convegno dei miliardari.
È stato addirittura, negli anni ‘80, un membro dello «steering
committèe», ossia dell’importantissimo ufficio del Bilderberg che
definisce i temi delle discussioni segrete e gli inviti da diramare.
Sicché
è molto istruttivo anche solo vedere quali italiani sono stati membri
di questo «steering committèe», il comitato-guida.
Umberto e Gianni Agnelli ne hanno fatto parte fino alla morte.
E così molti personaggi dell’ambiente Fiat: da Renato Ruggiero, poi
elevato alla presidenza del WTO, l’Organizzazione Mondiale del
Commercio, il poliziotto del governo mondiale e della globalizzazione, a
Paolo Zannoni, vicepresidente Fiat (membro del committèe nel 1989) a
Stefano Silvestri dell’Istituto Affari Internazionali, influente
centro-studi finanziato dagli Agnelli.
Per finire - non c’è da stupirsi - con Mario Monti, bella carriera
giocata fra il pubblico e il privato, dalla Banca Commerciale Italiana
alla Goldman Sachs alla Commissione Eruopea, ed oggi nel governo della
cosiddetta «sinistra».
La
sinistra dei capitalisti alleati agli zapateros.
Altri noti italiani sono invitati al Bilderberg, più o meno
regolarmente.
Anche questa lista spiega molte cose.
Diamola qui, con l’avvertenza che può essere incompleta.
Alfredo Ambrosetti, presidente del gruppo Ambrosetti e fondatore del
Forum di Cernobbio, che è un Bilderberg in piccolo, dove le direttive
del Bilderberg vengono notificate ad una platea un poco più vasta e un
poco più italiana.
Franco
Bernabè, vicepresidente della Rothschild Europe, che è stato anche
rappresentante speciale per la ricostruzione dei Balcani (un sacco di
soldi) su mandato Confindustria.
Emma Bonino: convocata al Bilderberg nel ‘97, e diventata commissaria
europea.
Giampiero Cantoni, presidente della Banca Nazionale del Lavoro.
Innocenzo Cipolletta, direttore generale Confindustria.
Mario Draghi (poteva mancare?) e Paolo Fresco, successore di Romiti alla
poltrona suprema della Fiat, già vicepresidente della General Electric,
sezione europea.
Nella lista troviamo anche Rainer Masera, dell’IMI.
Marco Tronchetti Provera.
E persino Walter Veltroni, invitato una sola volta, quand’era
direttore de L’Unità.
Dimentichiamo
forse qualcuno?
Ah, ecco: Tommaso Padoa Schioppa, il gran banchiere europeo, uno degli
inventori dell’euro, eurocrate al cento per cento, ed oggi nostro
ministro, spontaneamente scelto da Prodi per renderci più economici
davanti alla competizione mondiale.
Un bel governo: un po’ Bilderberg e Goldman Sachs, un po’ Diliberto
e Bertinotti.
Uniti nella lotta coi banchieri internazionali.
Maurizio Blondet
Da «La Padania»