|
Il
segreto del Potere - La Massoneria del '700
Di
Giuseppe Giarrizzo – «Domenica» de «Il Sole 24 Ore», 27/11/1994
Ordinario di Storia Moderna
all'Università di Catania Sorta in Scozia alla fine del '500, la
massoneria prese forma in Gran Bretagna durante il XVII secolo e trova
poi nel '700 le condizioni ideali per diffondersi. Nella loggia, che
costituisce lo spazio ideale dell'affratellamento, l'adepto compie la
sua ascesa graduale verso la conoscenza di segreti e l'acquisizione di
poteri cui essa da accesso. Nell'Europa occidentale si sviluppa una vera
gnosi, mentre si afferma la tendenza a trasformare la massoneria in una
chiesa invisibile con obbiettivi politici, religiosi e culturali.
Illuminismo
e anti-illuminismo convivono nel microcosmo delle logge, con densità e
dialettica analoghe. Uno studio di Giuseppe Giarrizzo, dal titolo «Massoneria
e Illuminismo», che in questi giorni viene pubblicato da Marsilio
(pagg. 532, L. 64mila), indaga appunto le diverse componenti del mondo
massonico nell'Europa del '700. Dagli influssi che essa esercitò sulla
Rivoluzione francese, ai rapporti con l'inquisizione, agli apporti che
le diedero Rosacroce e Illuminati
di Baviera,
il saggio di Giarrizzo segue l'evolversi della dottrina, dei progetti,
delle influenze. Per gentile concessione dell'editore, in questa pagina
anticipiamo uno stralcio dell'opera dedicato alle influenza che la
massoneria ebbe sulla «Scienza della legislazione» del Filangieri.
Sulla via per la Sicilia, ove era stato chiamato dall'arcivescovo di
Monreale, Francesco Testa, ad insegnare logica e metafisica in quel
seminario, il «fratello» Isidoro Bianchi si era fermato, nell'autunno
1770, a Napoli. Qui incontra Raimondo di Sangro, Antonio Planelli,
Salvatore Spiriti, M. Vargas-Machuca, F. Conforti e Andrea Serrao, Luca
Nicola de Luca una
consorteria di intellettuali tra massoneria e «giansenismo». Era
l'ambiente nel quale de Luca, cliente di Serafino Filangieri, aveva
introdotto il precoce nipote dell'arcivescovo di Palermo: lo stesso
ambiente, nel quale matura il primo scritto (1771) di Gaetano Filangieri.
Della «piccola memoria» che egli scrisse allora e «che lacerai subito
dopo», Della morale dei legislatori, sappiamo però solo dall'ampio
estratto che proprio il Bianchi ne diede nel n. 19 (12 maggio 1772)
delle sue «Notizie de' letterati».
Erano
otto i capitoli della dissertazione:
a)
«Stabilisce in primo luogo il fondamento della morale de' sovrani, cioè
la conservazione e la tranquillità dei popoli, cavandolo dalla origine
della società, posta la quale e posti i patti convenuti per
conservarsi, ne nascono le leggi».
b)
Sono queste «le leggi (quelle politiche e le economiche) delle quali (Filangieri)
parla nel secondo capitolo».
c)
«L' esecuzione delle leggi si ottiene o dal timore delle pene o dalla
speranza de' premi, che sono i due possenti motivi per spingere l'uomo,
dopo l'istato di corruzione, ad oprar bene; perciò sono indiritti li 3
seguenti capitoli alle pene ed a' premi. Le leggi prive della
comminazione delle pene sono senza forza, ed è una bella invenzione de'
romansieri che l'esser convinto di aver oprato contro le leggi fu una
volta pena bastevolissima. Le pene esser deggiono proporzionate a'
costumi delle nazioni, e alla situazione del paese, non essendovi pena
che non possa cambiar di qualità cambiando di clima. Deggiono ancora
esser proporzionate a' delitti, e scendere dalla stessa natura de'
medesimi».
d)
«Venendosi poi alle pene in particolare, (...) distingue quattro sorti
di pene, le capitali, le infamatorie, le pecuniarie, e quelle che
privano i rei del consorzio degli altri cittadini. Riguardo alle prime
non adotta intieramente il sistema del (...) marchese Beccaria, che le
vorria interamente bandite da ogni stato, ma accorda benissimo che la
loro frequenza è perniciosissima e perciò, salvo il caso dell'omicidio
e quello quando un cittadino anche privo di libertà abbia tali
relazioni e tal potenza che possa turbare la sicurezza della nazione,
non si mostra disposto a volerle permettere accordandosi più volentieri
alle pene d'infamia poste in disuso a' nostri tempi, alle pecuniarie e a
quelle che interdicono il consorzio cogli altri cittadini: le galere, la
condanna alle miniere e alle opere pubbliche che, lasciando in vita i
delinquenti, li rendono utili a quella società i di cui diritti
offesero, sono più al suo gusto».
e)
«L'altro motivo a ben oprare è il premio, come ce ne assicura la
storia di tutte le nazioni che co' premi e cogli onori si resero
luminose e rispettabili. Pare che il Montesquieu contradica qualora
insegna (Esprit des Loix, V, 18) che le grandi ricompense sogliono
essere un contrassegno evidente della decadenza delle monarchie e delle
repubbliche. E' questa una proposizione troppo vera se per premio si
intendono le ricchezze, giacché così il denaro saria il principio
motore delle morali azioni, non la virtù ; ma se per ricompensa si
intendono gli onori, crede l' invitto nostro garzone (Filangieri,
appunto) che questo filosofo siesi di gran lunga ingannato».
f)
«Siccome però i premi ed i castighi riguardano le azioni esterne, non
le interne e segrete, che possono tante volte alterare la tranquillità
de' popoli, perciò e' necessaria un'altra voce che tocchi il cuore
degli uomini e li distragga dagli occulti delitti. E' questa la
religione, la quale con eccitare la speranza di un premio eterno, fa
argine alle interne reità . Di essa si ragiona al capo VI, dove si
dimostra che secondo i principii di una sana politica la religione
dominante deve essere una, che che ne dicano i fautori del tollerantismo».
g)
«La mira però maggiore, che propor devesi un saggio legislatore è il
miglioramento de' costumi, da cui scaturisca il risorgimento d' una
nazione. Se non si sana il cuore ed i cattivi costumi non si emendano
col far subentrare i buoni, le mannaie le forche i ceppi saranno mezzi
inefficaci a ridurre nel buon sentiero una società corrotta».
h)
«Per conseguir questo fine gioverà moltissimo la pubblica educazione
(...). I cittadini che sieno bene educati ubbidiranno più
per ragione e per abito che per timore delle pene, il quale li
renderà accorti a celare i loro delitti e a commetterli di nascosto per
non esser dalle leggi puniti, non li farà mai buoni.
L'educazione
dunque ne' dommi della vera religione, ne' doveri dei sudditi verso i
sovrani e nella cognizione de' veri diritti di questi, sarà il mezzo più
efficace a migliorare i costumi, e a render felici e tranquilli i popoli».
E' facile cogliere l'impressionante precocità con cui a 18 anni
Filangieri disegna il piano della sua Scienza della Legislazione, e la
determinazione con la quale si accinge fin da allora a costruire l'
edificio del suo Lebenswerk. Ma tra il piano del 1771 e quello del 1780,
premesso al libro I della Scienza della Legislazione, si colgono
differenze che vanno sottolineate. Se immutato resta lo schema, ordinato
attorno alla diade «conservazione»/«tranquillità» dei popoli; e se
al primo oggetto, cui saranno dedicati i libri I e II (1780), Filangieri
riserverà lo spazio e la struttura previste: la sezione dedicata alla
«tranquillità», già soverchiante, si dilaterà ancora in funzione di
un mutato equilibrio e di una mutata gerarchia, che esaltano la
distinzione tra l'aspetto negativo (la tranquillità come sicurezza) ed
il positivo (la tranquillità come armonia).
Resta
la funzione di cerniera del III libro su «le leggi criminali»; ma la
parte finale della Scienza doveva sostituire la progressione istruzione
«religione» proprietà famiglia, a quella, disegnata nel piano del
1771, di onore «religione» pubblica educazione. Il cambiamento di
programma, maturato nel decennio, è tanto più importante in quanto
riguarda la parte non pervenuta, e forse mai compiutamente redatta,
della Scienza della Legislazione; e, come vedremo, non è un paradosso
sostenere che i libri più importanti dell'opera sono quelli che non
abbiamo, il VI e il VII, dedicati rispettivamente alla proprietà e alla
famiglia.
Giova notare altresì che lo schema del 1771 aveva suscitato attenzione
nella cultura massonica del Mezzogiorno, la siciliana soprattutto giacché
il «fratello» Tommaso Natale, maestro razionale del Patrimonio, vi
s'era indotto ad aggiornare e stampare (1772) quelle Riflessioni
politiche intorno all'efficacia e necessità delle pene dalle leggi
minacciate, che egli stesso afferma d'avere scritto a Napoli fin dal
1759. Tra il 1771 e il 1775, gli anni della iniziazione massonica di
Filangieri, mentre si fa spazio nella cultura massonica europea il tema
del dispotismo destinato a diventarvi dominante, e che avrebbe presto
coinvolto (si pensi allo Herder) anche Federico di Prussia, già figura
simbolo della massoneria militare-libertina degli anni quaranta e
cinquanta, questi si impone ancora col suo modello di re-filosofo: a far
testo però non e' l'Anti-Machiavel, bensì il suo elogio del calzolaio
«filosofo naturale» e l' illustrazione del Codice fridericiano ad
opera del Formey.
Sono
tutte «fonti» di Filangieri, quando da «vero patriota» egli
interviene in appoggio del Tanucci nel 1774, l'anno medesimo (si
ricordi) dell'attacco tanucciano alla massoneria. «La libertà istessa
parve insopportabile alle nazioni, allorché per istabilirla bisognava
estirpare alcuni disordini che il tempo e l'interesse avevano
introdotti. Roma, oppressa dal giogo della tirannia, cercava anche
spesso con trasporto la libertà dei suoi padri. Due principi glie la
offerirono; ma essa non era più in istato di conoscerla ne' di
riceverla. I Romani avrebbero voluto esser liberi in mezzo à disordini
del dispotismo più oltraggioso. Questo era lo stato di Roma sotto
l'impero di Traiano e di Marco Aurelio. Chi sa che non sia anche questa
la nostra condizione sotto il governo del più buono dei principi?».
«Due cose compongono la libertà politica dei cittadini in ogni specie
di governo. La sicurezza e l'opinione di questa sicurezza.
L'
una è nel fatto, e l'altra è nell'immaginazione (Montesquieu, Esprit
des Loix, XI, cc. 3-5). Or queste due parti componenti la libertà dei
cittadini sono così strettamente unite fra loro che non si potrebbe
separar l'una dall'altra, senza distruggere la libertà stessa. Che
gioverebbe ad un uomo il non poter essere molestato da persona, se egli
fosse sempre agitato dal timore di perdere ad ogni istante la sua vita,
la sua roba, il suo onore? Per ottenere questo fine, i primi istitutori
della società ebbero ricorso alle leggi, le quali mostrando ai
cittadini i loro doveri, e costringendoli ad adempierli colla minaccia
delle pene, ispirano nel tempo stesso quella placida confidenza che
nasce dall' opinione di non poter essere molestati, operando secondo il
loro dettame».
«Qual è quella causa che rende i governi dispotici incompatibili colla
libertà dei cittadini? L'arbitrio del despota (che qui equivale a
tiranno, non a dittatore). Datemi dunque un governo, nel quale i
magistrati possono arbitrare, e voi mi darete nel tempo istesso un corpo
di despoti, il quale renderà il governo altrettanto peggiore del
dispotismo assoluto quanto il numero dei magistrati supera quello dell'
unità». «Il voler dire che le molte liti sieno l'effetto del
temperamento nazionale è un linguaggio che dovrebbe mal comportare la
placidezza de' nostri costumi (...). Il languore delle leggi, la forza
della cabala e l'incertezza del dritto sono quelle fangose vene donde
sorge il gran torrente delle liti». Un appoggio qualificato al
ministro, che suona anche un avvertimento.