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La “conversione” di Licio Gelli
di Rita Pennarola – tratto da “La Voce della Campania” – giugno 2006
www.lavocedellacampania.it
Era nell’aria, ma solo oggi se ne ha piena conferma: la campagna
acquisti del centrosinistra che ha dirottato sulle sponde uliviste
uomini come Ugo Intini, Domenico Fisichella e, giù giù nel napoletano,
il forzista Sergio De Gregorio, mette a segno un colpo da Maestro (è il
caso di dirlo) portando a casa un nuovo, valoroso “compagno”, che
oggi rilascia interviste ispirate al pensiero no global. Anche perchè
lui, quando le cose le fa, preferisce farle fino in fondo. Quindi, se
decide di passare a sinistra, ne sposa senza esitazioni le istanze più
radicali. Acciacchi permettendo, aspettiamoci d’ora in poi di
ritrovarlo a marciare confuso in un corteo di no Tav e, soprattutto, di
vederlo scendere in campo per fermare la guerra in Iraq.
Ma certo, stiamo parlando proprio di lui, del Gran Maestro Licio Gelli,
fresco di conversione ai valori dell’Unione dopo ottant’anni di
onorata militanza nel fronte massonico-conservatore costellato da
sospetti di stragismo. Dopo lo storico ribaltamento di fronte, sancito a
febbraio dalla donazione all’archivio di Stato pistoiese della parte
“presentabile” dei suoi cimeli e la stretta di mano con Linda Giuva
D’Alema, autrice dell’altisonante prolusione in veste di archivista,
abbiamo chiesto al Venerabile un incontro ravvicinato per capire se la
nuova appartenenza ideologica facesse emergere umori, ma soprattutto
notizie inedite, sugli scenari politici in atto e sulla recente storia
del Paese.
Ci arriviamo proprio mentre il quadro politico italiano sta cambiando
faccia, con Giorgio Napolitano nuovo inquilino del Quirinale (fu proprio
durante la permamenza di Napolitano agli Interni che Gelli si diede alla
latitanza, nel..., il che comportò una richiesta di dimissioni per
l’allora titolare del Viminale) ed i ministri del governo Prodi pronti
a giurare.
I taxi, ad Arezzo, conoscono bene la strada e in un
baleno dalla stazione ferroviaria siamo a Villa Wanda, sulle verdi
colline dell’antica città toscana. Poco è cambiato nella struttura
dalla nostra visita del 1996, giusto 10 anni fa, eccezion fatta per il
pappagallo di casa, che all’epoca lanciava invettive all’indirizzo
dell’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, e che oggi - con il
maquillage complessivo del Gelli-pensiero - è stato probabilmente
sostituito con un innocuo volatile capace al massimo di dire “ciao”.
Impeccabile, cortese ma, soprattutto, più che mai lucido ad onta degli
ottantacinque suonati, Licio Gelli ci accoglie nel salottino riservato
agli ospiti, sempre uguale, sotto i quadri di famiglia. Al di là del
tono bonario da anziano signore di campagna, quel guizzo, nei suoi
occhi, è rimasto lo stesso.
La vittoria del centrosinistra alle Politiche 2006 ed il peso decisivo
degli italiani nel mondo sulla durata del governo Prodi sono i primi
argomenti su cui si sofferma. «Quei diciotto senatori eletti
all’estero - esordisce - costeranno allo Stato l’ira di Dio, senza
che abbiano alcun reale interesse per le vicende italiane. La loro
presenza in parlamento, per giunta, potrebbe essere causa di incidenti
diplomatici, perchè rappresentano un fattore di ingerenza su questioni
che, per legge, dovrebbero essere riservate ai soli ambasciatori».
Eppure
era stato Mirko Tremaglia, un uomo della destra, a battersi per il voto
degli italiani all’estero.
Tremaglia
io lo conosco bene, era con me nella Repubblica Sociale, ma oggi
dovrebbe farsi da parte. Chi ha avallato queste sue iniziative non
comprende il valore del denaro.
Considera
questo un errore di Silvio Berlusconi?
E perché,
non ha commesso errori, Berlusconi? Ma ne ha fatti tanti, anche in
quest’ultima campagna elettorale. Ce ne dica qualcuno. Tanto per
cominciare, io avrei fatto una dichiarazione annunciando il ritiro
immediato dei nostri militari impegnati sui fronti esteri. Ma quale
missione di pace? In Iraq è in atto una guerra civile, perchè mai noi
dovremmo intervenire? Allora siamo di parte... Ma la stessa cosa vale
per l’Afghanistan, per il Kosovo... Abbiamo 9000 uomini impegnati in
queste missioni, ogni giorno perdiamo vite umane e tutto questo comporta
spese militari enormi, mentre il popolo italiano è alla fame. E non
solo questo: avrei chiesto il ritiro di tutte le basi americane dal
nostro Paese. E’ vero che gli Stati Uniti avevano vinto la guerra, ma
sono passati molti anni e il nostro prezzo lo abbiamo già pagato.
Questi
“consigli” lei li aveva in qualche modo fatti pervenire all’ex
premier?
Beh...
in qualche modo il suggerimento gli era arrivato attraverso canali
informali ma, come vede, non è stato ascoltato... Se lo avesse fatto,
avrebbe superato ampiamente il 50 per cento dei vite.
Che
cos’altro avrebbe voluto dirgli?
Che la
prima cosa da fare doveva essere quella di guardare alla Cina:
attenzione, perchè domani governerà l’Italia... preparatevi, io no,
non ci sarò, vi guarderò da una nuvoletta e da lì, per fortuna, non
ci sono ancora telefoni...
Torniamo
al pericolo giallo.
Guardi,
facciamo solo il caso di Arezzo. Qui le industrie italiane si stanno
spopolando, ma a Prato nel consiglio d’amministrazione dell’Unione
Industriali siedono già due imprenditori cinesi. Sono una massa enorme,
hanno solo il 2 per cento di disoccupati ed hanno l’obiettivo di
imporre al mondo occidentale la loro supremazia, morale ed economica.
Hanno comprato mezza America: se domani chiedono agli Stati Uniti di
“rientrare”, crolla tutto il sistema economico occidentale. Non
dimentichiamo che gli Usa sono una nazione sfiancata dai costi enormi
del conflitto iracheno, un miliardo di dollari al giorno... . E invece
l’Italia, di fronte a tutto questo, cosa fa?
Appunto,
cosa fa?
Errori,
come quella iniziativa dell’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, il
quale portò in Cina a spese dello Stato ben 350 industriali utilizzando
tre aerei, solo per mostrare che il costo di produzione per qualsiasi
oggetto è cento volte più ridotto in Cina che in Italia. Come se ci
fosse ancora qualcuno che non lo sa. il nuovo establishment
Da
Ciampi a Napolitano: si aspettava la sua elezione al Quirinale?
Giorgio
Napolitano è uomo serio e all’altezza. Non lo conosco personalmente,
ma so che ha operato bene come presidente della Camera e ministro degli
Interni. Ha un solo difetto: 81 anni, che sono tanti. Gli faccio i miei
migliori auguri, perchè è difficile governare questo Paese. E qualche
volta è anche inutile...
Se
fosse dipeso da lei, chi avrebbe visto al Colle?
Ma...
avrei visto bene la possibilità di far ripetere il mandato a Francesco
Cossiga... sì, il popolo avrebbe tratto grossi vantaggi da un Cossiga
bis, perchè è un uomo preparato, disinteressato e, negli anni della
sua presidenza, ha svegliato un’Italia che dormiva.
E
Andreotti?
Giulio
Andreotti è sempre stato il migliore. Se invece che uomo politico fosse
stato un manager, negli anni in cui è stato leader di governo avrebbero
cercato di ingaggiarlo in tutto il mondo, ma con lui torniamo al
discorso dell’età, è del ‘19 come me, e ci sono “dolori
anagrafici” che nessuna medicina può guarire.
Vi
vedete ancora, ogni tanto?
Ma sa,
se capita sono sempre incontri in forma privata...
E
Berlusconi? Non vi vedete dai tempi della P2 oppure ci sono stati
incontri in questi anni?
Non so,
non me lo ricordo...
Torniamo
allora per un momento al presidente Napolitano. Lei sa che il Gran
Maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi ha espresso vivo
apprezzamento...
Non
parlatemi di quel piccolo avvocato di Forlì che percepisce un
consistente appannaggio come Gran Maestro, mentre per quel ruolo è
previsto solo un rimborso spese.
Passiamo
al governo Prodi. Come vede la situazione della risicata maggioranza al
Senato?
Più che
altro i pericoli sono connessi all’elevato numero dei partiti e
all’inevitabile litigiosità per le poltrone. Stia tranquillo che
prima di Natale per il governo Prodi ci saranno dei grossi problemi.
Lei,
nel frattempo, ha ricevuto il patrocinio del comune di Pistoia, guidato
dal centrosinistra, per la cerimonia di consegna del suo patrimonio di
documenti storici all’Archivio di Stato. Perché lo ha fatto?
Guardi,
quell’enorme patrimonio avrei potuto monetizzarlo, pensi che contiene
manoscritti risalenti all’anno mille, lettere di D’Annunzio,
preziosi autografi, documenti rarissimi di Napoleone, di Don Bosco. Ho
preferito che diventasse pubblico e in questa scelta ho incontrato la
grande esperienza di un’archivista come Linda Giuva D’Alema, che ha
saputo valorizzarlo con ineguagliabile maestria.
E
le carte della P2? Dove sono le centinaia di nomi degli iscritti che,
secondo l’ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, mancavano
all’appello dopo il ritrovamento delle liste?
Io
Cordova non l’ho mai preso in considerazione. I suoi errori riguardano
proprio le indagini sulla massoneria: ha fondato la sua carriera su
quell’inchiesta, ma non ha trovato niente di rilevante.
Anche
Antonio Di Pietro si è scagliato più volte cotntro i poteri occulti.
Di
Pietro a mio parere non ha saputo fare nè il magistrato, nè il
commissario, nè il giornalista nè l’uomo politico.
Vi
siete mai conosciuti personalmente?
Sì, e
lo voglio raccontare. Un giorno, mentre aspettavo di essere interrogato
a Milano dalla Guardia di Finanza, sarà stato il ‘92 o il ‘93, ad
un certo momento Di Pietro si alzò e mi prese sotto braccio.
Cominciammo a passeggiare per i corridoi della caserma. Mi disse: “sa,
stiamo per arrestare la segretaria di Craxi, sentirà domani che
casino...”. Poi non l’ho più rivisto.
La
riforma dell’ordinamento giudiziario avviata dall’ex ministro
Castelli a giudizio di molti ricordava quella da lei prevista nel piano
di rinascita nazionale. E’ d’accordo?
Si
tratta di una riforma rimasta orfana perchè non è stata attuata la
piena divisione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri. Nel
piano di rinascita io avevo proposto di istituire due diversi concorsi
in magistratura. Giudice e pm si dovrebbero odiare, se vogliamo una
giustizia equa. Invece continuano ad andare a letto insieme.
Ci
sono ancora oggi magistrati o altri personaggi di grosso calibro che
fanno riferimento a lei?
Guardi,
io la stecca non l’ho passata a nessuno. E cerco di tenermi fuori. Se
ci sono magistrati massoni, io ora non li conosco.
Come
spiega il fatto che per vicende come le stragi siciliane si scoprono
solo gli esecutori ma non si trovano mai i mandanti?
In
Italia i processi durano molto a lungo e di certe vicende se ne occupano
in tanti, troppi. Ho come l’impressione che l’uno cancelli le prove
trovate dall’altro...
Ma
è la mafia ad aver bisogno dei politici, o viceversa?
Io penso
che sia una certa politica a ricorrere alla mafia per beneficiare di
tutte le possibilità, anche economiche, di cui dispongono le
organizzazioni.
E
la mafia cosa ottiene esattamente in cambio? Solo appalti, protezioni, o
qualcos’altro?
Ma sa,
In
che senso?
In
Sicilia in qualche modo “nascono” mafiosi. Me lo disse una volta il
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Qual
era esattamente il suo rapporto col generale Dalla Chiesa?
Era un
rapporto magnifico, leale. Lui era iscritto alla P2 così come suo
fratello Romolo, altro generale dei Carabinieri morto proprio nelle
ultime settimane. Ma l’uno non sapeva dell’altro. Era la nostra
regola.
A
quale periodo risale il suo stretto rapporto con Carlo Alberto Dalla
Chiesa?
Credo
che ci conoscemmo a metà anni settanta, a Roma. Molto prima, quindi,
che venisse mandato in Sicilia.
Che
cosa aveva scoperto in Sicilia, secondo lei, Dalla Chiesa?
Non
lo so, so solamente che fu mandato giù in Sicilia dopo “lo scandalo
nello scandalo” (il ritrovamento degli elenchi della P2, ndr).
Comunque
oggi, a parte Berlusconi, molti ex piduisti rivestono cariche di potere.
La massoneria è ancora così forte?
Mi
raccontano che nel GOI c’è una continua emorragia. Quella che fa capo
a Palazzo Vitelleschi mi sembra una massoneria più seria. Quella della
P2 era tutta un’altra storia. Abbiamo dovuto subire quello che io
chiamo “lo scandalo nello scandalo”, persecuzioni, processi, e alla
fine sa cosa è successo? Che
Le
associazioni segrete, però, sono illegali. Al tempo della P2 questa
legge non esisteva.
Noi
eravamo la punta di diamante della loggia di Palazzo Giustiniani, come
dimostrano le lettere che conservo in archivio, ci occupavamo di tutta
l’assistenza di cui avevano bisogno i massoni italiani. Il gran
maestro Salvini veniva da noi, ci portava le richieste e noi davamo
seguito.
Di
che tipo furono i rapporti diretti con il mondo politico?
Basti
pensare che tra le nostre fila c’erano sei ministri, magistrati,
generali, banchieri. Oggi esistono 18 Orienti, tutti si considerano
massoni ma in realtà quasi nessuno ha un reale potere.
Quali
erano i principali ambiti della vostra influenza?
Prima di
tutto i rapporti con l’estero. Non dimentichiamo che esistono Paesi,
come
I
rapporti fra massoneria e Casa Bianca?
Vado a
memoria: trentanove presidenti degli Stati Uniti sono stati massoni,
compreso Bush padre. Del figlio non so.
Con
raggruppamenti internazionali come Illuminati e Trilateral che tipo di
connessione esisteva?
Sì,
c’erano rapporti, quando esisteva la riservatezza e questo consentiva
alla massoneria italiana di avere una grossa influenza.
Cosa
sa degli incontri supersegreti fra big mondiali dell’economia
denominati Bilderberg?
Personalmente
non ho mai avuto contatti diretti, ma persone che li frequentano me ne
dicono un gran bene.
A
proposito degli Usa, che ci dice di quel famoso elenco dei cinquecento
di Sindona?
Non è
mai esistito. Più di una volta avevo detto a Sindona, quando era in
America, vedendo in che guai si trovava: dammelo, questo benedetto
elenco, magari possiamo vedere di commercializzarlo... Sa cosa mi
rispondeva? “Ma non sono 500, sono 500 mila gli italiani che hanno
portato soldi all’estero”...
Che
rapporti ha avuto lei con il Vaticano?
Non ho
mai conosciuto nè Giovanni Paolo II - che a riempito le piazze, mentre
avrebbe dovuto riempire le chiese - nè Ratzinger. Di Marcinkus so che
era sempre circondato da belle donne.
E
con l’Opus Dei?
La
definiscono la massoneria bianca. E’ un’organizzazione molto
potente.
Quanto
potente?
Oggi
sicuramente più della massoneria.