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massoneria
Licio
Gelli: "Avevo già scritto tutto trent'anni fa"
Di Concita de Gregorio "La Repubblica" del 28 settembre 2003
Intervista a Gelli:
"Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già scritto tutto
trent'anni fa"
"Giustizia, tv, ordine pubblico è finita proprio come dicevo
io"
AREZZO - Son soddisfazioni, arrivare indenni a quell'età e
godersi il copyright. "Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine
parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta.
Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si
realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti
d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto
trent'anni fa". Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza.
Tutto in quelle carte sequestrate qui a villa Wanda ventidue anni fa:
962 affiliati alla Loggia. C'erano militari, magistrati, politici,
imprenditori, giornalisti. C'era l'attuale presidente del Consiglio, il
suo nuovo braccio destro al partito Cicchitto: allora erano socialisti.
Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese.
"Se le radici sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto
che non ha più niente a che vedere con me". Niente, certo. Difatti
quando parla di Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di
Cossiga lo fa con la benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una
stagione propizia. Sempre con una frase, però, con una parola che li
fissa senza errore ad un'origine precisa della storia.
Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria.
Lo si capisce dopo la prima mezz'ora di conversazione, atterrisce dopo
due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di
ricordare l'indirizzo completo di numero civico della prima casa romana
di Giorgio Almirante, l'abito che indossava la sua prima moglie quel
giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio
Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide
coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece
quel certo bonifico un giorno di sessant'anni fa, la targa della
camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista,
quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni
in che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni
Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina
guidava, se a Roma c'era il sole quella mattina e chi incontrò prima di
arrivare a destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose.
Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata
in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta
invisibile a scomparsa. "Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto
del giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo
tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì".
Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della
villa che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i
mostri, la villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento,
le stanze con le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno
scuro, elefanti di porcellana che reggono i telefoni rossi, divani di
cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa, a elle
e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d'argento, pupi,
porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al sole di
settembre, scale, studi, studioli, sale d'attesa coi vassoi d'argento
pieni di caramelle al limone. Ma lei vive qui da solo?. "Sì certo
solo". E questi rumori, le ombre dietro le porte di vetro colorato?
"La servitù".
Commendatore, gli sussurra una segretaria pallida porgendogli un
biglietto: una visita. "Mi scusi, mi consente di assentarmi un
attimo? E' un vecchio amico".
Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a
Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad Arezzo
si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della settimana.
A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì, e scende
ancora all'Excelsior. Le liste d'attesa per incontrarlo sono di circa
dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato. Al telefono
coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio":
"La regola numero uno è non fare mai nomi ? insiste l'ultimo di
una serie di intermediari ? Lei non dica niente, né chi la manda né
perché. La richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona
squisita. Solo: non gli parli di politica". Di poesia, vorrebbe si
parlasse: perché Licio Gelli da quando ha ufficialmente smesso di
lavorare alla trasformazione dell'Italia in un Paese "ordinato
secondo i criteri del merito e della gerarchia", come lui dice,
"per l'esclusivo bene del popolo" ha preso a scrivere libri di
poesia, ovviamente premiati di norma con coppe e medaglie, gli
"amici" nel '96 lo hanno anche candidato al Nobel.
"Vorrei scivolare dolcemente nell'oblio. Vedo che il mio nome
compare anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come
Venerabile maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un
massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi
a Stammati che tentò di uccidersi. E' stata una gogna in confronto alla
quale le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani
pulite è stata solo una faccenda di corna. Lei crede che la corruzione
sia scomparsa? Non vede che è ovunque, peggio di prima? Prima si
prendeva facciamo il 3 per cento, ora il 10. Io non ho mai fatto niente
di illegale né di illecito. Sono stato assolto da tutto. Le mie mani,
eccole, sono nette di oro e di sangue".
Assolto da tutto non è vero, dev'essere per questo che lo ripete tre
volte e s'indurisce. Indossa un abito principe di Galles, cravatta di
seta, catena d'oro al taschino, occhiali con montatura leggerissima,
all'anulare la fede e un grosso anello con stemma. Questo avrebbe detto
dunque a Montecatini, a quel convegno a cui l'hanno invitata e poi non
è andato? Dicono che Andreotti l'abbia chiamata per dissuaderla.
"E' una sciocchezza. Andreotti non è uomo da fare un gesto simile.
Si vede che lei non lo conosce".
Senz'altro lei lo conosce meglio. "Se Andreotti fosse un'azione
avrebbe sul mercato mondiale centinaia di compratori. E' un uomo di
grandissimo valore politico". Come molti della sua generazione.
"Molti, non tutti. Cossiga certamente. Non Forlani, non aveva spina
dorsale. Naturalmente Almirante, eravamo molto amici, siamo stati nella
Repubblica sociale insieme. L'ho finanziato due volte: la seconda per
Fini. Prometteva molto, Fini. Da un paio d'anni si è come
appannato". Forse un po' schiacciato dalla personalità di
Berlusconi. "Può darsi. Berlusconi è un uomo fuori dal comune.
Ricordo bene che già allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva
questa caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del
fare. Di questo c'è bisogno in Italia: non di parole, di azioni".
Vi sentite ancora? "Che domanda impertinente. Piuttosto.
L'editore Dino, lo conosce?, ha appena ripubblicato il mio primo libro:
Fuoco! E' stata la mia opera più sofferta, anche perché ha coinciso
con la morte di mio fratello nella nostra guerra di Spagna. E' un
edizione pregiata a tiratura limitata, porta in copertina il mio
bassorilievo in argento. Ci sono due altri solo autori in questo
catalogo: il Santo padre, e Silvio Berlusconi". Anche Berlusconi
col bassorilievo d'argento? "Certo, guardi". Il titolo
dell'opera è "Cultura e valori di una società globalizzata".
Pensa che Berlusconi abbia saputo scegliere con accortezza i suoi
collaboratori? "Credo che in questa ultima fase si senta assediato.
E' circondato da persone che pensano al "dopo". Non si fida, e
fa bene.
E' stato giusto bonificare il partito, affidarlo a un uomo come
Cicchitto. Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato". Il
coordinatore sarebbe Bondi in realtà. "Sì, d'accordo. Credo che
anche Bondi sia preparato. E' uno che viene dalla disciplina di
partito". Comunista. "Non importa. Quello che conta è la
disciplina e il rispetto della gerarchia". Ha visto il progetto di
riordino del sistema televisivo? "Sì, buono". E la riforma
della giustizia? "Ho sentito che quel Cordova ha detto: ma questo
è il piano di Gelli. E dunque?
L'avevo messo per scritto trent'anni fa cosa fosse necessario fare.
Leone mi chiese un parere, gli mandai uno schema in 58 punti per il
tramite del suo segretario Valentino. Pensa che chi voglia assaltare il
comando consegni il piano al generale nemico, o al ministro
dell'Interno? Ma comunque non è di questo che vogliamo parlare, no?
Vuole anche lei avere i materiali per scrivere una mia biografia? Arriva
tardi: ho già completato il lavoro con uno scrittore di gran
fama". Su una poltrona è appoggiato l'ultimo libro di Roberto
Gervaso. La scrive con Gervaso? "Ma no, ci vuole una persona
estranea ai fatti. Se vuole le mostro lo scaffale con le opere che mi
riguardano, le ho catalogate: sono 344". Certo: il burattinaio è
un soggetto affascinante. "Andò così: venne Costanzo a
intervistarmi per il Corriere della sera. Dopo due ore di conversazione
mi chiese: lei cosa voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio
fare il burattinaio che il burattino, non le pare?".
Sembra che ce ne siano diversi di burattinai in giro ultimamente. "Il
burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi". E
adesso chi è? "Adesso? Questa è una classe politica molto
modesta, mediocre. Sono tutti ricattabili". Tutti? Mettiamo:
Bossi. "Bossi si è creato la sua fortezza con la Padania, ha
portato 80 parlamentari è stato bravo. Ma aveva molti debiti... Per
risollevare il Paese servono soldi, non proclami. Ho sentito che
Berlusconi ha invitato gli americani a investire in Italia: ha fatto
bene, se qualcuno abbocca?
Ma la situazione è molto seria. L'economia va malissimo, l'Europa è
stata una sventura. Non abolire le barriere, bisognava: moltiplicarle.
Fare la spesa è diventato un problema, il popolo è scontento. Serve un
progetto preciso". Per la Rinascita del Paese. "Certo".
C'è il suo: certo forse i 900 affiliati alla P2 erano pochi. "Ma
cosa dice, novecento persone sono anche troppe. Ne bastano molte
meno". Allora quelle che ci sono ancora bastano, tolti i pentiti.
"Nessuno si è pentito. Pentiti? A chi si riferisce? Costanzo,
forse. L'unico. Con tutto quello che ho fatto per lui. Guardi: io
non devo niente a nessuno ma tutti quelli che ho incontrato devono
qualcosa a me. Ci sono dei ribelli a cui ho salvato la vita, ancora oggi
quando mi incontrano mi abbracciano". Ribelli? "Sì, i ribelli
che stavano sulle montagne, in tempo di guerra. Io ero ufficiale di
collegamento fra il comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati
tanti". Intende partigiani. "Li chiami come crede. Eravamo su
fronti opposti, ma quando sei di fronte ad un amico non c'è divisa che
conti.
L'amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa".
L'amicizia, sì. La rete. Cossiga l'ha citata giorni fa, in
un'intervista. Ha detto: chiedete a Gelli cosa pensava di Moro. "Da
Moro andai a portare le credenziali quando ero console per un paese
sudamericano. Mi disse: lei viene in nome di una dittatura, l'Italia è
una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di
fagioli: per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli
risposi stia attento che i suoi fagioli non restino senz'acqua,
ministro'". Anche in questo caso tragicamente profetico, per così
dire. Lei cosa avrebbe fatto, potendo, per salvare Moro? "Non avrei
fatto niente. Era stato fascista in gioventù, come Fanfani del resto,
ma poi era diventato troppo diverso da noi. Lei ha visto il film sul
delitto Moro?" Quello di Bellocchio? "No, l'altro. Quello
tratto dal libro di Flamigni.
Ma le pare che si possa immaginare un agente dei servizi segreti che con
un impermeabile bianco va a controllare sulla scena del delitto se è
tutto andato secondo i piani?". Gli agenti dei servizi sono più
prudenti? "Lei conosce Cossiga? Proprio una bravissima persona. E
poi un uomo così colto, uno capace di conversare in tedesco. Un uomo
puro, un animo limpido. Dopo la morte di mia moglie mi mandò un
biglietto: "Ti sono vicino nel tuo primo Natale senza di lei",
capisce che pensiero? Vorrebbe farmi una cortesia? Se lo incontra, vuole
porgergli i miei ricordi, e i miei saluti?".
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