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Propaganda
2003
Di
Gianni Cipriani - «Avvenimenti» nr. 40 ottobre 2003
Siamo
abituati a pensare alla P2 come ad un rottame della storia, o al massimo
come un retaggio di un malaffare politico e massonico. Un qualcosa fuori
dal tempo che, di tanto in tanto, si ripresenta come un insulto alle
coscienze, e per questo, solo per questo, accende furibonde reazioni.
Ma cos’è davvero la P2?
Cos’è il sistema piduista? Nel senso comune prevale ormai la formula
che evoca il sistema di malaffare, i faccendieri e i vecchi agenti
segreti senza scrupoli, pronti a depistare. Come se una progressiva «usura»
del tempo avesse operato sulle parole stesse «P2 e piduista», facendo
diventare questi termini etichette prive di contenuto. Insulti che,
quando sono utilizzati, paradossalmente bloccano sul nascere ogni
ragionamento; diventano risposte scontate che spengono ogni domanda.
La domanda, invece, va riaccesa. Bisogna comprendere che il «sistema
piduista», nei suoi valori e nelle linee strategiche, è un credo
politico ben strutturato. Non è semplice malaffare. E’, semmai, una
dottrina che ha fatto (e sicuramente fa ancora) leva sul malaffare, sui
burattini d’avventura, come gli scenari oscuri che sono comparsi
intorno al falso scandalo Telekom Serbia stanno ampiamente dimostrando.
Gli obiettivi che persegue, però, sono politici.
Null’altro che politici.
Ecco perché arretrare all’accezione insultante (e stereotipata) di
piduista è un limite, se non un grave errore, che non consente di
individuare le linee strategiche lungo le quali sta proseguendo il piano
di rinascita – il termine non è casuale – di una concezione
autoritaria, affaristica e sostanzialmente antieuropea che sempre più
si va radicando in una parte consistente della cultura politica
conservatrice, moderata nelle apparenze ma reazionaria nelle pulsioni
primarie.
Vale la pena, quindi, analizzare serenamente (si fa per dire) quel
complesso di vicende che oggi, paradossalmente, hanno portato l’ex
presidente della Repubblica Francesco Cossiga ad affermare
tranquillamente e sinceramente che nel nostro paese si va riproponendo
una «questione massonica», dal momento che stiamo assistendo ad un
ritorno al passato, quando in alcune logge si decidevano le sorti della
politica e dell’economia.
Allora bisogna partire dalla questione delle questioni, che nella
politica piduista era rappresentata dalla stessa identità della
repubblica italiana. Una repubblica antifascista la cui Costituzione è
stata elaborata dalle forze politiche che avevano promosso la lotta di
Liberazione. Una eredità politica ce non è mai stata digerita da
quell’insieme di forze che si è storicamente radunato intorno alla
P2. I motivi sono del tutto evidenti: l’unità delle forze
antifasciste, o del cosiddetto «arco costituzionale», è stata sempre
vista come una ferita aperta da sanare al più presto perché attraverso
questo «mito» il Pci aveva ottenuto quella legittimità democratica
che mai e poi mai avrebbe dovuto avere. Colpa dei comunisti, ma anche di
tutti quei cattolici democratici che, pur nella diversità e
nell’asprezza dello scontro, non avevano mai voluto recidere le radici
comuni che univano le forze che avevano dato vita al patto
costituzionale. Ecco, dunque, perché nella logica piduista l’unità
antifascista andava sostituita al più presto con un’altra unità, che
adottasse uno sbarramento a sinistra e, nello stesso tempo, aprisse a
destra, pur rifiutando ufficialmente di accogliere in questo patto i
neofascisti.
Per «rompere» questo patto, nella logica di Licio Gelli e dei suoi
seguaci, non c’erano che due strade: depotenziare il «mito»
dell’unità antifascista e dare una diversa lettura della lotta
partigiana per annullare il valore storico e politico e, come secondo
passo, cancellare la Costituzione che in quella storia aveva la sua
scaturigine.
Proprio questa concezione è stata, negli anni Settanta, alla base di
alcune avventure eversive, a cominciare dal golpe Borghese, che a
dispetto dei nostalgici di Mussolini e dei repubblichini che avrebbero
dovuto portarlo a termine, non sarebbe stato un colpo di stato
dichiaratamente «fascista»; così come «fascista» non sarebbe stato
il progetto eversivo di Edgardo Sogno, passato alla storia come «golpe
bianco». Secondo questo schema, i mali d’Italia erano rappresentati
dal «pericolo comunista», ma anche dalla sostanziale «inaffidabilità»
democristiana il cui gruppo dirigente era ancorato ai valori della
Costituzione, né intendeva disfarsene. Da qui i continui timori del
lento ma progressivo e inesorabile scivolamento verso il «caos
comunista» e la celebre frase di Edgardo Sogno secondo la quale la sua
organizzazione si era presa l’impegno di «sparare» contro chiunque
– i democristiani traditori – avesse consentito al Pci di entrare
nel governo.
Se queste sono, come sono, le premesse, si comprende come l’attuale e
sempre più stringente tentativo di minare i valori fondanti della
nostra Repubblica, la rivalutazione di Mussolini, del fascismo e della
repubblica di Salò, la volontà di equiparare – nel rispetto dei
morti – partigiani e repubblichini ovvero il desiderio di snaturare il
valore simbolico del 25 aprile e di annacquarlo nella condanna
indistinta dei regimi totalitari, siano passaggi ineludibili della
strategia piduista. Così come non si può certamente liquidare come una
semplice battuta infelice la frase di Silvio Berlusconi sulla
“Costituzione sovietica”.
Su questo, come detto, varrebbe la pena di riflettere invece di
limitarsi ad utilizzare il termine piduista come insulto. A chiedersi
come mai, ad esempio, da un po’ di tempo a questa parte viene lasciato
il solo presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a celebrare
degnamente il 25 aprile. O perché Berlusconi scelse questa data per
ricordare a Torino proprio Edgardo Sogno, decorato per il suo valore
partigiano, che in seguito, però, era diventato uno dei paladini
dell’oltranzismo anticomunista, fino ad approdare alla loggia P2 e a
partorire progetti eversivi. E c’è da chiedersi se non sia proprio
per l’avanzare di questa revisione di stampo piduista che è
l’intera storia della Repubblica ad essere messa in discussione. Non
si spiegherebbe altrimenti l’ossessione “comunista” che sembra
pervadere Silvio Berlusconi ed i suoi sudditi, impegnati a denunciare il
grande complotto con il quale i “rossi” (grazie anche all’inazione
democristiana) si sarebbero infiltrati in tutti i gangli dello Stato
fino a conquistarlo.
Può servire, nel Duemila, agitare lo spettro comunista per guadagnare
qualche voto in più?
C’è di che dubitarne. E allora tanto zelo si giustifica con il fatto
che la “nuova” Italia che qualcuno ha in mente può essere costruita
solo sulle macerie della nostra Costituzione e della sua storia.
Cancellare la memoria dell’Italia repubblicana. Non c’è nulla di più
“piduista” di questo proposito. Eppure molti di coloro, per i quali
la P2 evoca qualcosa di negativo, si mostrano assai più condiscendenti
di fronte a questa deriva, magari ingannati da nobili slogan come
“pacificazione”, che sicuramente è un obiettivo da raggiungere, ma
che adesso è semplicemente un diversivo.
Ci sarebbe poi da riflettere su un altro particolare di non poco conto:
la collocazione internazionale della P2. Oggi, dopo molto tempo, lo
stesso ex preside Cossiga – che pure ha sempre criticato gli esiti
della commissione P2 presieduta da Tina Anselmi – è disposto ad
ammettere che la loggia di Licio Gelli è stata un centro di
irradiazione dell’oltranzismo atlantico. C’era la guerra fredda e in
occidente l’anticomunismo aveva differenti gradazioni. Nella loggia di
Licio Gelli c’erano i “duri”; coloro i quali pensavano, appunto,
che l’unità antifascista fosse un orpello e che ci volessero le
misure forti. Così, proprio perché espressione dei settori più rigidi
dell’atlantismo, Licio Gelli divenne uno dei referenti più apprezzati
del partito repubblicano degli Stati Uniti e, per essere più precisi,
un referente della destra repubblicana.
Oggi chi ha l’immagine del Gelli depistatore e faccendiere dimentica
che il Maestro Venerabile della P2, ad esempio, fu uno tra i più attivi
nel sostenere la candidatura di Ronald Reagan alla presidenza degli
Stati Uniti e si impegnò, anche per convincere i numerosi
italo-americani, a far pubblicare sul Corriere della Sera una
serie di articoli che dovevano mettere in buona luce lo sfidante del
presidente uscente, Carter. Anche per questo Gelli (oltre a lui c’era
Francesco Pazienza) fu tra gli invitati al ricevimento che si tenne
negli Stati Uniti per festeggiare la vittoria di Reagan.
L’Italia pensata dalla P2 era una repubblica legata mani e piedi agli
Stati Uniti. Anzi, a quei settori più reazionari e più
“oltranzisti” nella lotta contro il nemico che allora si chiamava
comunismo. Cosa c’è di differente dal governo di oggi, nel quale le
spinte ad ancorarsi ai voleri della destra repubblicana, oggi
rappresentata da Bush jr., sono così forti da mettere in discussione il
ruolo dell’Italia nel processo di unificazione Europea? Cambiano gli
scenari ma, evidentemente, il cordone ombelicale non è stato reciso. Ed
ecco manifestarsi quegli atteggiamenti da vassallo prostrato di fronte
all’imperatore che nemmeno negli anni Settanta, quando pure forte era
la polemica sul “servilismo atlantico” dell’Italia, si erano mai
visti in simile maniera. Anche in questo caso, non c’è nulla di più
piduista.
Quella che abbiamo di fronte, dunque, è una precisa strategia politica
che oggi trova in Silvio Berlusconi la sua espressione ma che,
probabilmente, è una tendenza politica che sopravviverà a Berlusconi,
così come è sopravvissuta nel passaggio
tra la prima e la seconda repubblica. Politica che, come detto, fa
spesso leva sul malaffare, ma che non è materia esclusiva (anzi, è
vero il contrario) degli specialisti delle trame. Oggi, come detto,
alcuni personaggi comparsi a margine del caso Telekom Serbia e le
spavalde dichiarazioni di Licio Gelli rappresentano il volto di questo
oscuro passato. Ma il problema è che questo “passato” è presente.
E siffatta strategia sta ottenendo i suoi più significativi successi
proprio là dove la sensibilità democratica è meno sensibile o, se è
sensibile, reagisce solo appellandosi alla ritualità dei simboli. Oggi
il piduismo è più forte non solo perché ricompaiono Gelli, Pazienza e
uno stuolo di faccendieri. E’ più forte perché si stanno minando le
basi della nostra Repubblica secondo uno schema ben collaudato. E
nessuno, fino ad ora, ha davvero disinnescato quelle cariche.